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Tra gli oggetti di oreficeria altomedievali la Corona Ferrea occupa una posizione di primo piano per tradizione storica e per significato simbolico-religioso, cui però fa riscontro una persistente incertezza circa l'origine e la destinazione prima. La mancanza di testimonianze dirette lascia ampio spazio agli studiosi di attribuirle date di fabbricazione comprese tra il V e il IX secolo dopo Cristo e di ritenerla ora una corona regale, ora una corona votiva, ora addirittura un collare o un bracciale. Alla carenza di testimonianze si aggiunga, per i materiali, l'assenza di analisi scientifiche documentate. Il cerchio interno metallico di colore grigio, ritenuto di ferro, attende analisi appropriata dopo che LIPINSKY (1985) si è accorto che non attira la calamita; anche il titolo dell'oro e la natura degli smalti non sono stati oggetto di ricerche e infine le gemme sono sempre state identificate con metodi empirici e con nomi tradizionali. La mancanza di adeguate rilevazioni in un oggetto importante come la Corona Ferrea non deve meravigliare, poiché riflette una situazione comune a molti altri reperti del nostro patrimonio storico-artistico per i quali la letteratura specifica è singolarmente avara di dati sicuri. In troppi cataloghi e descrizioni di musei e di mostre si leggono identificazioni azzardate di gemme che con i nomi loro attribuiti hanno in comune solo il colore. Sarebbe auspicabile che le diagnosi empiriche venissero sostituite da binomi generici del tipo «gemme colorate» oppure «gemma azzurra» eccetera. Nell'ambito di ricerche più approfondite sul Tesoro del Duomo di Monza intraprese da Roberto Conti, Conservatore dello stesso Museo, è stato possibile attivare un esteso programma di indagini gemmologiche su tutto lo straordinario complesso di oreficerie medievali ivi custodito. Come è noto, la Corona Ferrea è costituita da sei piastre rettangolari incernierate tra loro lungo il lato corto, leggermente incurvate e di dimensioni quasi uguali: la loro altezza risulta di 5,3 cm e la loro lunghezza varia da 7,9 a 8,1 cm. |
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Le ventidue gemme ivi incastonate sono disposte secondo due schemi diversi. A) Cinque piastre mostrano il disegno seguente: un settore quasi quadrato (6 x 5,3 cm) con una gemma centrale circondata da quattro rosoni d'oro a sbalzo intercalati con quattro aree irregolari di smalti cloisonnés raffiguranti fiori stilizzati, cui è affiancato un settore rettangolare (2 x 5,3 cm) con tre gemme incastonate in successione verticale. B) Una piastra con il settore quasi quadrato come sopra, affiancato però da un settore rettangolare munito di un'unica gemma centrale accompagnata sopra e sotto da un rosone d'oro. Va notato che attualmente lo schema A presenta tre piastre con il settore rettangolare a destra e due con il settore rettangolare a sinistra e che lo schema B è sinistrorso. Naturalmente capovolgendo la corona i rapporti mutano di conseguenza. Le piastre sono state numerate da I a VI e le gemme da 1 a 22 come è mostrato nei disegni 1 e 2. E' risaputo quanto siano poco affidabili le diagnosi di gemme incastonate, soprattutto quando la parte visibile della pietra è ridotta al minimo e la politura scarsa. Anche nel caso che non si tratti di una doppietta, si è sempre nell'impossibilità di rilevare un dato importante come il peso specifico, di osservare agevolmente le inclusioni e di ottenere buone letture dell'indice di rifrazione. Se poi l'oggetto è fragile o semplicemente ingombrante, le difficoltà aumentano e l'identificazione rischia di poggiare su elementi poco sicuri. E? questo il caso della Corona Ferrea, nella quale non ci è sembrato corretto procedere alla rimozione delle gemme, anche se ciò avrebbe sicuramente portato a risultati gemmologicamente più accettabili. A tale inconveniente si è rimediato facendo uso di illuminazione a fibre ottiche di forte potenza, che ha permesso di affrontare in modo soddisfacente i seguenti problemi: - l'esplorazione dell'interno delle gemme, quasi sempre «affogate» entro incastonature semi-occludenti, per il rilevamento delle inclusioni e della superficie posteriore della pietra, onde evidenziare l'eventuale presenza di supporti colorati; - l'esecuzione di osservazioni spettroscopiche, indispensabili talora per la diagnosi definitiva; - il rilevamento del pleocroismo con il dicroscopio a calcite. Oltre all'illuminatore FO, allo spettroscopio e al dicroscopio, la strumentazione comprendeva un microscopio, un rifrattometro, una lampada a raggi UV (onde corte e onde lunghe). Fine prima parte (continua) |
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